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Ci levammo per uscire. Io ero già alla porta. Egli mi
trattenne per il braccio e mi chiese:
 Lei non crederà che io sia geloso?
 Ma manco per sogno!  risposi.
Assieme, visitammo le appostazioni piú avanzate. Gli
artiglieri erano ai pezzi, con i loro ufficiali. Tutto vi era
in ordine.
Rientrai alla mia compagnia. Nei ricoveri, i soldati be-
vevano e fumavano. Mi sedetti con loro e aspettai la
mezzanotte.
Un quarto d ora prima, feci disporre i soldati per
squadre, pronti ad uscire dai ricoveri e correre ai cam-
minamenti. Man mano che la mezzanotte si avvicinava, i
soldati capivano che qualche avvenimento insolito stava
per accadere e s interrogavano l un l altro, con lo sguar-
do. Io dissi che si temeva una sorpresa e bisognava te-
nersi pronti per il contrattacco. Ma, quanto piú s avvici-
nava l ora attesa e temuta, tanto piú il mio pensiero si
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Emilio Lussu - Un anno sull Altipiano
allontanava dalla mia compagnia, dalla mina, da tutti
quei luoghi. Mi dicevo: «Dev essere lei. Non può essere
che lei». E, ogni volta, il dubbio ritornava e trovavo tan-
te considerazioni a mio conforto. «Non dev essere lei.
Non può essere lei». E la rivedevo, cosí come l avevo vi-
sta la prima volta, alla finestra di casa sua, affacciata sul-
la strada, mentre io entravo nel portone, i capelli biondi
rovesciati sulla fronte, ma non tanto da ricoprire gli oc-
chi sorridenti.
Quando guardai l orologio, mezzanotte era passata.
La mina non scoppiava. Mandai da Avellini, per aver
notizie. Egli mi rispose che non aveva notato niente
d insolito e che, nella trincea nemica, la vigilanza era co-
me le altre notti.
Aspettammo, ma meno preoccupati, fino all alba.
Che i posti d intercettazione si fossero sbagliati? Che gli
austriaci ci avessero giuocato una beffa?
La mattina, le due compagnie ricevettero il cambio, e
raggiungemmo il reggimento a Campomulo. Ritirato il
pacchetto, lo avevo riconsegnato ad Avellini.
Il giorno stesso, il colonnello c invitò a pranzo e ci co-
municò che potevamo partire in licenza il giorno dopo.
Mentre prendevamo il caffè, ci chiese:
 Mi dicano la verità, sinceramente. In tutta la guerra,
hanno passato un momento piú drammatico di quei po-
chi minuti prima di mezzanotte?
Avellini si affrettò a rispondere:
 Io mi tenevo pronto, naturalmente; ma pensavo ad
altro.
E guardò me, sorridendo, come se io solo potessi ca-
pirlo.
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Emilio Lussu - Un anno sull Altipiano
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Avellini ed io partimmo insieme in licenza. Facemmo
un piccolo percorso insieme, perché egli aveva la sua fa-
miglia in Piemonte ed io in Sardegna. Mio fratello aveva
avuto, all ultimo momento, non so piú quali impedi-
menti di servizio e fu obbligato a ritardare la partenza.
Io arrivai solo, a casa.
Trovai il babbo molto invecchiato. Lo avevo sempre
creduto un uomo forte. Mi accorsi subito che non era
piú lo stesso. Egli era depresso e non nascondeva il suo
scoraggiamento. Noi eravamo i soli figli e tutti e due in
fanteria. Non si faceva piú illusioni. Non sperava che
noi potessimo rientrare sani e salvi dalla guerra. Aveva
trascurato i suoi affari. Rividi la vecchia e grande casa di
campagna, un tempo tanto piena di vita, quasi deserta.
La mamma mi parve piú coraggiosa. Io le avevo manda-
to spesso delle lettere, impostate nelle città delle retrovie,
che le facevano credere che io fossi al sicuro. Ma i soldati
feriti del mio reggimento raccontavano di combattimenti
che avevamo fatto assieme, distruggendo, cosí, in gran par-
te, i risultati dei miei espedienti. Non pertanto, sembrava
piena di fiducia ed era lei che animava anche il babbo.
Io parlai della guerra con molte precauzioni. Riuscii
subito a dare della vita di prima linea un idea accettabile,
senza incubi. I genitori avevano creduto che noi fossimo,
in permanenza, impegnati in combattimenti furiosi. Essi
non avevano mai supposto che noi potessimo vivere dei
mesi senza combattere e senza neppure vedere gli au-
striaci. Non avevano un idea geografica del fronte, e,
malgrado sulle carte apparisse che il fronte era di centi-
naia di chilometri, pensavano che il combattimento in un
settore travolgesse o avesse spettatori anche gli altri set-
tori. La guerra, cosí come io la descrivevo, non aveva un
aspetto insopportabile. Avevo a mio sostegno anche l ar-
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Emilio Lussu - Un anno sull Altipiano
gomento che gli ufficiali non corrono gli stessi rischi dei
soldati e che mio fratello era in una parte tranquilla del
fronte. Ma, ogni volta che mio padre si trovava solo con
me, mi diceva, senza perifrasi, la sua opinione:
 Io non vedrò la fine di questa guerra. E ho paura
che non la vedrete neppure voi.
Una sera pranzava con noi un nostro parente, soldato
di fanteria in licenza dopo una ferita. Avevamo finito di
pranzare e prendevamo il caffè. Il babbo gli chiese, piú
per tener su la conversazione che per avere un parere:
 Secondo te, Antonio, finirà presto la guerra?
Io, fino ad allora, avevo evitato si parlasse di guerra.
Antonio rispose con sicurezza:
 Non finirà mai. La guerra è un macello permanente. [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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